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Pieloplastica del giunto

Pieloplastica del giunto

Classificazione:
Sindrome del giunto pielo-ureterale

La sindrome del giunto pielo-ureterale rappresenta un difetto del normale transito di urina nel punto di congiunzione tra il bacinetto renale (pelvi renale) e l’uretere. Il difetto può essere congenito o più raramente acquisito, può essere di natura funzionale (malattia del giunto pieloureterale) oppure anatomica, soprattutto dovuto alla presenza di un incrocio con strutture vascolari (vaso anomalo; vaso polare).

Questa anomalia può provocare sintomi, talvolta anche importanti, oppure decorrere in modo asintomatico ed essere scoperta in modo incidentale in corso di accertamenti (es. ecografia addome) eseguiti per altri motivi. L’entità del difetto può essere diversa da caso a caso, anche in base all’età in cui viene diagnosticato ma non sempre corrisponde alla gravità dei sintomi e/o del danno funzionale del distretto renale interessato. Il difetto talvolta può risultare bilaterale e con diversa gravità in ciascun lato.

Questa anomalia provoca un rallentamento nella progressione dell’urina dalle cavità renali all’uretere; le cavità renali tendono, almeno inizialmente, a compensare il difetto. In seguito l’ostruzione determina la dilatazione della pelvi renale, che assume talvolta il caratteristico aspetto balloniforme (fig. 1). Se il problema non viene corretto la condizione ostruttiva provoca gradualmente una perdita di funzionalità del rene interessato che può giungere, negli stadi terminali, fino ad un completo silenzio funzionale.

Alla malattia può associarsi una calcolosi renale che viene favorita dal ristagno di urina; la malattia assume poi importanza notevole nel paziente monorene perché può associarsi ad insufficienza renale. Gli esami preoperatori sono volti a definire gli aspetti morfologici (ecografia, urografia, uro-TC, risonanza magnetica) e funzionali (scintigrafia renale sequenziale (fig.2)). Sulla base di questi viene posta l’eventuale indicazione alla correzione del difetto. In alcuni casi la funzione residua del rene interessato può risultare completamente assente o così compromessa da non giustificare l’intervento.
 

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

 

Fig. 4

L'intervento
L’intervento di pieloplastica consiste nell’asportazione del segmento di via urinaria sede del difetto e nella ricostruzione della continuità con una sutura (plastica). Per raggiungere il rene sede della malattia ed esporre adeguatamente le strutture su cui eseguire la plastica si possono utilizzare diverse vie di accesso.
La tecnica tradizionale “a cielo aperto” prevede un taglio chirurgico sul fianco, di dimensioni proporzionali alle caratteristiche fisiche del paziente (body mass index) con sacrificio dei muscoli addominali che vengono sezionati trasversalmente rispetto al decorso delle fibre. Esistono varie tecniche per eseguire la sezione e la sutura della giunzione pielo-ureterale (fig.3) che condividono tutte la finalità di ripristinare la continuità della via escretrice garantendo una normale trasmissione della peristalsi pielo-ureterale e quindi un normale deflusso delle urine verso la vescica. Per proteggere il consolidamento delle suture sulla via urinaria si applica un cateterino (generalmente uno stent a doppio J) che mette in collegamento continuo le cavità renali con la vescica e facilita il drenaggio delle urine, in modo tale da evitare che le suture vengano poste in tensione.
La tecnica laparoscopica prevede l’introduzione nella parete addominale di piccole cannule (trocar), del diametro di 5-

12 mm

, attraverso piccoli fori (porte) di calibro identico (fig. 4), attraverso le quali vengono introdotti un’ottica collegata ad una telecamera e particolari strumenti, lunghi e sottili, con i quali si può eseguire la pieloplastica così come previsto dalla tecnica più tradizionale a “cielo aperto”. L’intervento laparoscopico può essere eseguito per via transperitoneale o per via retroperitoneale; ad oggi non sono state dimostrate differenze sostanziali tra le due vie che vengono quindi scelte in base alle preferenze e/o abitudini del chirurgo oppure, di necessità, nel caso di pazienti che hanno già subìto interventi per la stessa patologia (recidiva) o per altre patologie addominali oppure ancora in caso di altre malformazioni associate (rene a ferro di cavallo). Per varie ragioni (anestesiologiche, anatomiche, tecniche, in presenza di complicanze intraoperatorie non gestibili in laparoscopia) l’intervento laparoscopico può di necessità essere convertito nella tecnica “a cielo aperto”.
L’anestesia è generale. La durata dell’intervento varia da

90 a

240 minuti a seconda della particolare situazione anatomica e della rapidità del chirurgo. Al termine vengono lasciati in sede per 5-6 giorni il catetere vescicale applicato all’inizio e per 2-3 giorni il drenaggio applicato alla fine dell’intervento.


Gestione postoperatoria

Per circa 24 ore dopo l’intervento è necessario rimanere a letto e ricevere una terapia endovenosa; salvo complicanze dalla seconda giornata postoperatoria è possibile alzarsi ed iniziare una dieta dapprima liquida e semiliquida poi solida. La degenza in ospedale è di circa 3-5 giorni.
Dopo circa 20-30 giorni è necessario rimuovere lo stent a doppio J. La procedura viene eseguita in endoscopia, in regime ambulatoriale. Gli esami di controllo possono prevedere esami morfologici (ecografia, urografia, TC, RMN) e funzionali (scintigrafia renale sequenziale).

Complicanze
Le complicanze di questo intervento si distinguono in complicanze intraoperatorie (emorragia con necessità di emotrasfusione, lesioni pleuriche con insorgenza di pneumotorace, lesioni ad organi adiacenti quali surrene, milza, fegato, pancreas con rischio di insorgenza di fistole pancreatiche e pancreatiti, duodeno, colon con necessità a volte di eseguire una resezione colica oppure in casi più gravi di una colostomia); postoperatorie precoci (ematuria, infezione urinaria, sepsi, fistola urinosa, trombo-embolia, infarto miocardico, ileo dinamico); postoperatorie tardive (infezioni della ferita, sviluppo di ernie in sede di incisione, urinoma, stenosi secondaria del giunto pielo-ureterale).

 


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